Judith Butler, Vite precarie. Contro l’uso della violenza in risposta al lutto collettivo, Meltemi, 2004; tit. or. Precarious life. The powers of mourning and violence, 2004. Judith Butler filosofa femminista, attivista del movimento gaylesbico e ebrea, fa valere queste sue posizioni per portare una critica profonda all’idea che la guerra sia una risposta adeguata all’attacco terroristico subito dagli Stati Uniti il famoso 11 settembre 2001.Lei dice che con la risposta insensatamente violenta all’attacco subito, gli USA hanno perso una grande occasione, quella di mettere in discussione il delirio di onnipotenza, tipicamente “primomondista”, quello per cui le società occidentali in generale e quella statunitense in particolare si autorappresentano come invulnerabili. A fronte di popolazioni degli altri mondi che noi abbiamo costruito come vulnerabili per definizione e che non possono accedere a nessun grado della sicurezza (dall’acqua, al cibo, all’aria, ai bombardamenti che possono in ogni momento cadere sulle loro teste) ci siamo costruiti questo mito dell’inattaccabilità. Lei invece propone di mettere la vulnerabilità al centro di una nuova e più profonda riflessione politica. Tutti nasciamo in una situazione di vulnerabilità assoluta, e per sopravvivere abbiamo dovuto affidarci a un altro (per lo più a un’altra). Più in generale ogni giorno viviamo nella vulnerabilità sociale, ovvero affidandoci agli altri, fidando come minimo nel fatto che non saremo attaccati, feriti, da chi incontriamo ogni giorno. Per questo ogni violenza è anche violenza psicologica, perché ferisce questa nostra innata tendenza a af-fidarci.Noi non siamo indipendenti, e questa nostra dipendenza, anche nell’identità, viene fuori nel modo più drammatico quando subiamo un lutto grave, la perdita mette in questione chi siamo noi. Era questa consapevolezza che doveva venire fuori con il lutto dell’11 settembre.Eppure era facile trovare strumenti politici atti ad affrontare questa nuova situazione di vulnerabilità, sono quegli stessi strumenti che i movimenti GLBT e i movimenti femministi hanno dovuto mettere a punto per rispondere al fatto che in quanto gay, lesbiche, transessuali e donne siamo state costruite come violabili e attaccabili: “Negoziare una vulnerabilità immediata e senza precedenti: quali possibilità ci sono? Quali sono le strategie a lungo termine? Le donne conoscono bene questo problema, lo conoscono praticamente da sempre, e nessun aspetto del trionfo coloniale ha reso meno netta la nostra esposizione a questo tipo di violenza.” La giusta risposta, dice, è quella di una nuova coalizione femminista internazionale.