Il Demone amante

 

Robin Morgan, Sessualità, violenza e terrorismo.  Dalla Palestina all’Irlanda del nord,  La Tartaruga edizioni – Baldini e Castoldi, Milano, 2003 [tit. or: The Demon Lover.  On Sexuality of Terrorism, 1989] Perché ci siamo trovate a disagio nei gruppi politici misti radicali e rivoluzionari?  Perché abbiamo sentito quel linguaggio – non solo quello delle parole ma anche e soprattutto la trama infinita del linguaggio non verbale, dei gesti, delle immagini, delle intonazioni –  come altro da noi? Come dire che abbiamo sentito, intuito, il legame profondo fra la violenza degli stati e quella “rivoluzionaria” degli “stati a venire”, come li definisce Robin Morgan?  Come dire che abbiamo riconosciuto il legame profondo fra il linguaggio degli uomini di stato e quello di tanti leaderini e leaderoni dell’area antagonista?  Robin Morgan lo ha detto, ha trovato, dopo più di venti anni di militanza nella sinistra rivoluzionaria statunitense, le parole per dirlo, costruendo un libro talmente preciso e talmente profetico da essere ancora perfetto per l’analisi dei movimenti terroristici attuali e della risposta di sicurezza degli stati.  Robin Morgan è una donna che ha visto e che ha detto. Il titolo originale di questo libro è Il Demone amante (cambiato nella seconda traduzione italiana a favore di un titolo descrittivo).  Ma è il demone amante il protagonista erotico del libro, l’uomo fatale, l’eroe, l’incarnazione della fascinazione della violenza, una libido che unisce gli uomini come simbolo potente e vitale del  – loro – potere sul mondo e del nostro non-potere. “Le esplosioni in corso in tutto il mondo sono state innescate da una miccia sessuale ed emotiva di vecchia data.  Dalla notte dei tempi il terrorista è l’idolo subliminale di un’eredità culturale androcentrica.  La sua mistica è la versione aggiornata del demone amante.  Suscita pena perché vive nella morte.  Emana potenza sessuale perché rappresenta la distruzione.  Eccita perché fa paura.  E’ una sfida terminale alla tenerezza.  E’ allo stesso tempo l’eroe del rischio e l’antieroe della mortalità.Dall’alto del podio passa in rivista le truppe che gli sfilano davanti, rendendogli il loro tributo.  Pantaloni di pelle nera aderenti, sale sul palcoscenico per poi dar fuoco alla sua chitarra.  Più grande della vita stessa, sullo schermo cinematografico si sistema attorno al corpo mezzo quintale di strumenti d’offesa.  Occhieggia dalle gigantografie dei massimi leader, e conferisce con se stesso in incontri al vertice.  Guida le automobili più veloci e porta gli occhiali più opachi.  Tra applausi e ovazioni sale sul ring del campionato mondiale.  Qualunque cosa abbia addosso si trasforma in uniforme.  E’ un’arma vivente.  Qualunque cosa faccia all’inizio sconvolge, poi diventa moda.  Ci dicono che le donne spasimano per averlo.  Ci dicono che gli uomini spasimano per essere lui”  (p. 10)  Proprio perché scritto nel 1989 questo libro ci dice con ancora maggiore chiarezza che l’ondata terroristica di inizio 2000 non è “inaspettata”, ma è uno sviluppo voluto, pianificato, creato a tavolino: “All’interno della famiglia la legittimità premia la progenie che assicura la continuazione della stirpe paterna.  Mentre la legittimazione dello Stato premia la progenie che si impegna in un terrorismo vincente, conferendo il potere al terrorista che trionfa sui suoi avversari (…)Cosa succede allora, quando la maggioranza [cioè le donne] comincia ad alzare la testa e a disobbedire, quando comincia a prendere la parola? Cosa succede quando capiamo che, lungi dall’essere una minaccia per lo Stato, il terrorismo è il mezzo con cui, in un regime patriarcale, gli uomini si giudicano tra loro per decidere chi sarà il vincitore?Il terrorismo consolida lo Stato.  Se i terroristi falliscono lo Stato ne esce rafforzato perché ha saputo sconfiggerli.  Se trionfano, i terroristi di oggi diventano gli statisti di domani (pronti a deprecare il terrorismo)” p. 62.

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